Sindrome di De Quervain, la tendinopatia del pollice: sintomi e trattamento

Provi dolore o hai difficoltà a compiere movimenti con il pollice, ad inclinare il polso o semplicemente ad afferrare gli oggetti? Se riscontri queste sintomi già da un po’ di tempo allora potresti soffrire della sindrome di De Quervain.

Si tratta di un’infiammazione dei tendini del pollice, più precisamente all’altezza della guaina sinoviale. Il processo infiammatorio si verifica nel momento in cui la guaina si ispessisce e riduce lo spazio di scorrimento dei tendini, causando così attrito tra quest’ultimi e la sporgenza ossea sotto di essi, lo stiloide del radio.

 

SINDROME DI DE QUERVAIN, CAUSE E SINTOMI

La causa principale che scatena l’insorgenza della sindrome di De Quervain è lo svolgimento di attività ripetitive che prevedono il movimento del pollice. Tra queste rientrano ad esempio cucire, ricamare, usare il mouse o la tastiera del computer/telefono oppure suonare uno strumento musicale.

Quando si parla di infiammazioni tendinee comunque possono sempre incidere sovraccarichi improvvisi o prolungati, come ad esempio per le neo mamme che tengono il figlio in braccio nell’ultimo periodo di allattamento.

Infine rientrano tra i possibili fattori scatenanti anche malattie reumatiche o predisposizioni anatomiche individuali verso questa specifica problematica.

 

Quali sono i sintomi che evidenziano la presenza della sindrome di De Quervain? Come accennato ad inizio articolo ce ne sono diversi e piuttosto chiari:

  • dolore persistente sulla faccia palmare del polso ed alla base del pollice, accentuato dai movimenti che coinvolgono l’articolazione come afferrare saldamente un oggetto;
  • tumefazione lungo il decorso dei tendini dolente alla pressione;
  • sporgenza dolorosa, più o meno accentuata, in corrispondenza della guaina a livello del polso;
  • Possibile diffusione del dolore dal pollice all’avambraccio.

 

DIAGNOSI E TRATTAMENTO SINDROME DI DE QUERVAIN

Per una corretta diagnosi e stabilire il grado di dolore che prova il paziente ci si può avvalere del test di Finkelstein: la manovra consiste nel chiudere la mano a pugno, serrare le dita attorno al pollice e flettere il polso verso il mignolo.

Il soggetto affetto da Sindrome di De Quervain troverà sicuramente difficoltà ad eseguire questo tipo di movimenti provando un dolore sempre più acuto.

Curare la sindrome di De Quervain non è una cosa banale e sicuramente bisogna armarsi di grande pazienza, come per tutte le problematiche tendinee.

Molte persone, per accelerare i tempi di guarigione, decidono di affidarsi al trattamento chirurgico ma non è l’unico rimedio. Anzi, noi ci sentiamo di consigliarlo soltanto come risorsa finale, anche perché nessun intervento è esente da complicanze e problematiche.

Prima si può procedere attraverso un trattamento conservativo ovvero un percorso fatto di terapie fisioterapiche, riabilitative e accorgimenti finalizzati a ridurre l’infiammazione e curarla definitivamente. Richiede più tempo ma nella maggior parte dei casi porta ai risultati voluti.

 

Se si procede con il trattamento conservativo, la prima cosa da fare è cercare di immobilizzare il più possibile l’articolazione aiutandosi con un tutore o un bendaggio funzionale. Sarà necessario mantenerlo durante il giorno per almeno 2 settimane, mentre di notte, durante il sonno, per 6/8 settimane.

Anche se si utilizza il tutore, è molto importante evitare sforzi o sollecitazioni eccessive dell’articolazione, come ad esempio i movimenti a pinza.

Questi accorgimenti dovranno essere adottati parallelamente ad un percorso riabilitativo e fisioterapico proposto da uno specialista, a seconda della vostra specifica condizione e gravità del problema. Esso sarà mirato a ridurre l’infiammazione e il dolore e può prevedere:

  • Terapie strumentali come tecar/laser terapia o ultrasuoni.
  • Trattamenti manuali per decongestionare l’edema.
  • Esercizi di mobilizzazione dell’articolazione.
  • Utilizzo di kinesio taping

 

Se temi di aver contratto la sindrome di De Quervain e non sai a chi rivolgerti, affidati all’esperienza e professionalità dei fisioterapisti Fisiotop, li trovi in 5 sedi tra Torino e Provincia. Controlla qual è quella più vicino a te.

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Lombosciatalgia da sindrome del piriforme: di cosa si tratta e come combatterla

Non sempre problemi di lombalgia e lombosciatalgia sono dovuti a cause riguardanti la colonna vertebrale, quali protrusioni o ernie discali, ma spesso hanno origine da posture scorrette e conseguenti sovraccarichi muscolari connessi, come nel caso della sindrome del piriforme. Di cosa si tratta? 

Il piriforme è un muscolo situato nella regione del gluteo, più precisamente tra l’osso sacro e il femore, al di sotto del quale, a stretto contatto, passa il nervo sciatico.

 

Nel momento in cui il muscolo irrita o comprime il nervo sciatico si sviluppano i sintomi riconducibili alle problematiche citate inizialmente, ovvero:

  • Dolore intenso e profondo nel gluteo
  • Dolore simile ad un formicolio e/o ad un intorpidimento lungo la parte posteriore e/o laterale della gamba intera o di una parte di essa.
  • Sensazione di irrigidimento e di scarso controllo di tutta la gamba durante il movimento
  • Dolore quando si cammina o si salgono e scendono le scale con comparsa di zoppia.

 

I FATTORI CHE PROVOCANO LA SINDROME DEL PIRIFORME

Principalmente i sintomi si manifestano, come precedentemente anticipato, per cause di natura compressiva dovute a:

  • Eccessiva contrattura muscolare del piriforme in seguito ad una attività fisica o lavorativa molto intensa che sovraccarica in particolare la regione glutea.
  • Posizioni fisse mantenute a lungo che comprimono e irritano il nervo lungo il suo decorso.

A tal proposito per esempio alcuni sport come il ciclismo e il canottaggio, che vengono svolti in posizione seduta per ore e ore al giorno e in più richiedono un utilizzo intenso degli arti inferiori, provocano più facilmente contratture muscolari del piriforme con possibile comparsa della sintomatologia in questione.

Nella vita quotidiana, invece, a finire sotto la lente d’ingrandimento sono quei lavori e attività che prevedono spesso sali/scendi da gradini o scale oppure ripetute flessioni in avanti con il busto, come ad esempio muratori e giardinieri, o anche più banalmente persone costrette alla guida tante ore al giorno.

 

COME RICONOSCERE LA SINDROME DEL PIRIFORME E COME TRATTARLA

Al giorno d’oggi non esistono dei test ed esami diagnostici che individuano con certezza la sindrome del piriforme.

La prima cosa da fare è procedere per esclusione, cioè verificare con dei test specifici l’assenza di altre condizioni in grado di far emergere sintomi simili, quali ad esempio ernie lombari oppure problematiche riguardanti le articolazioni dell’anca e del ginocchio.

Dopodiché, attraverso un’attenta e profonda palpazione, è possibile rilevare l’eventuale spasmo del muscolo piriforme e i sintomi associati alla compressione manuale.

 

Come curare e trattare la sindrome del piriforme? Sicuramente è una problematica fastidiosa e dolorosa ma non è il caso di allarmarsi troppo. Esistono diversi rimedi che si possono mettere in atto, sia in autonomia che attraverso l’aiuto di un fisioterapista, per eliminare il dolore e prevenirne la ricomparsa

Nel caso in cui il dolore fosse forte e persistente il consiglio è sempre quello di rivolgersi prima ad uno specialista.

Una volta appurato essere questo il tuo problema, il fisioterapista attraverso tecniche manuali e massoterapiche ti aiuterà a ridurre lo spasmo muscolare con conseguente miglioramento dell’infiammazione nervosa e del dolore associato.

Al contempo sarà fondamentale impegnarsi fin da subito nell’esecuzione di esercizi specifici. Il loro scopo principalmente sarà quello di allungare il muscolo piriforme migliorandone elasticità e vascolarizzazione, incrementare la mobilità del bacino e dell’anca e ridurre le tensioni muscolari agli arti inferiori e alla colonna (ischiocrurali, glutei, quadrato dei lombi e ileo-psoas)

Inoltre sarà molto importante limitare il più possibile quelle posizioni o attività che scaturiscono dolore o sollecitano eccessivamente la parte interessata o, se impossibilitati, studiare assieme al proprio fisioterapista delle accortezze da poter mettere in atto per evitare continue recidive.

Infine, inutile dire che la costanza premia sempre, eseguire esercizi di stretching e allungamento come mostrato nelle foto sottostanti (30 secondi per posizione, 3-4 volte per gamba), aiuta a prevenire la ricomparsa di questo disturbo.

Se soffri quindi di lombosciatalgia e temi possa trattarsi della sindrome del piriforme o hai soltanto bisogno di un consulto per un percorso di esercizi mirato ed efficace, affidati alla professionalità del personale qualificato Fisiotop, presente in 5 sedi tra Torino e provincia.

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Fascite plantare, cruccio dei runner e non solo: perché si manifesta e come trattarla

L’arrivo della bella stagione e la fine del lockdown potrebbero aver fatto riscoprire a molti il piacere dell’attività all’aria aperta come la corsa, il trekking o l’escursionismo. Bisogna però essere prudenti, praticarli con giudizio senza eccedere negli sforzi, soprattutto se si è rimasti fermi per molto tempo perché si rischia di incorrere in qualche problema fisico, uno tra i più comuni è la fascite plantare.

La fascite plantare è un’infiammazione della fascia che riveste la pianta del piede, ovvero del legamento arcuato che collega il calcagno alla base delle dita del piede ed è fondamentale nella trasmissione e distribuzione del peso corporeo durante la deambulazione e la corsa. Eccessivi sovraccarichi a livello podalico, ripetuti con continuità, possono causarne l’infiammazione.

 

COME SI RICONOSCE LA FASCITE PLANTARE E QUALI SONO LE CAUSE

Quando si manifesta la fascite plantare, la prima cosa che si prova è un forte dolore localizzato nella parte interna del tallone, quella più sensibile, dove il tessuto connettivo si innesta nel calcagno e tende ad infiammarsi e sfibrarsi con maggiore facilità.

 

Il dolore infatti è causato da micro lesioni (impercettibili) che poco a poco, a seguito di movimenti di allungamento e accorciamento dell’avampiede, sfibrano la fascia e ne riducono l’elasticità.

Generalmente è più facile percepire il dolore durante sollecitazioni prolungate (ad esempio in una lunga passeggiata), nella fase di riscaldamento di un allenamento oppure, inaspettatamente, al mattino quando ci svegliamo.

Questo accade perché durante il riposo le punte dei piedi si rilassano e tendono a puntare verso il basso, quindi il legamento arcuato si accorcia; quando ci alziamo ed eseguiamo i primi movimenti invece si deve allungare ed è qui che si genera dolore.

 

Quindi quali sono le cause che portano a questa infiammazione?

Esistono molteplici e svariati fattori che possono incidere sul sovraccarico a livello podalico e quindi facilitare l’insorgenza della fascite plantare. I più comuni sono:

  • Piedi piatti o cavi
  • Scarpe inadeguate (troppo larghe o troppo strette, troppo morbide o troppo rigide)
  • Obesità e sovrappeso
  • Allenamenti scorretti o eccessivamente intensi
  • Debolezza di alcuni muscoli delle gambe (polpaccio, peroneo, tibiale posteriore e estensori delle dita dei piedi)

 

QUALI RIMEDI APPLICARE CONTRO LA FASCITE PLANTARE

Quando si tratta di infiammazioni tendinee e muscolari il primo consiglio resta sempre quello di affidarsi al consulto di uno specialista per valutare attentamente la situazione clinica e procedere con il giusto percorso rieducativo. Sono problematiche ostiche che, per la completa guarigione, richiedono sempre mesi e mesi.

Nel caso specifico della fascite plantare, se si è afflitti da un dolore molto acuto che condiziona notevolmente lo svolgimento delle attività quotidiane, i rimedi più efficaci nel breve periodo sono terapie strumentali come tecar/laser terapia o ultrasuoni, le quali aiutano a ridurre sensibilmente il dolore nell’arco di qualche settimana.

Al contempo si possono svolgere in autonomia alcuni esercizi di stretching, specie al mattino, che aiutano a distendere maggiormente i muscoli e allungare il tendine d’achille.

Passata la fase acuta, per curare completamente l’infiammazione, è consigliabile affidarsi a cure fisioterapiche specifiche, ovvero manipolazioni plantari e trattamenti manuali specifici volti a:

  • Ridurre la rigidità dei tendini
  • Rinforzare la muscolatura
  • Ripristinare l’elasticità dei tessuti plantari
  • Ripristinare la normale camminata
  • Prevenire la ricomparsa dell’infiammazione

 

Anche in questa fase, se consigliato dal fisioterapista, il paziente può facilitare e accelerare la guarigione svolgendo degli esercizi in autonomia, anch’essi mirati a migliorare l’elasticità dei tessuti e al rafforzamento della muscolatura, come mostrato in video.

 

Se stai soffrendo quindi di fascite plantare o magari riscontri di avere alcuni dei sintomi descritti e temi possano aggravarsi, affidati all’esperienza dei professionisti Fisiotop, ci trovi in 5 sedi tra Torino e Provincia.

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Gomito del tennista o Epicondilite: come riconoscerla e come curarla

Quante volte ti è capitato di sentir parlare di “gomito del tennista” e associarlo banalmente a un problema articolare specifico dei tennisti o degli sportivi in genere? In parte è vero, ma non pensare che sia soltanto una loro problematica.

Il “gomito del tennista”, o in termine medico/scientifico “epicondilite”, è un’infiammazione dei tendini che si agganciano in una zona laterale del gomito chiamata per l’appunto “epicondilo” e aiutano i muscoli nell’estensione di polso e dita e nella prono-supinazione dell’avambraccio.

 

Come intuibile dal nome, è una patologia molto frequente tra quegli atleti che sollecitano con grande intensità gli arti superiori del corpo, ma in realtà può colpire anche una persona qualsiasi che svolge un lavoro manuale con movimenti ripetitivi (come ad esempio nel giardinaggio) o movimenti di forza; oppure è sufficiente anche un lavoro dove si mantengono posizioni fisse per lungo tempo (ad esempio in ufficio con il mouse del PC).

 

SINTOMI E CAUSE DELL’EPICONDILITE

Il sintomo principale è inevitabilmente il dolore al gomito, che può presentarsi in maniera improvvisa oppure sorgere gradualmente e acutizzarsi nell’arco di alcuni giorni.

I tipi di dolore che si possono provare sono diversi: si può sviluppare in maniera diffusa intorno all’articolazione, oppure sotto forma di fitte/scosse o anche come formicolio, in quanto l’infiammazione potrebbe andare ad irritare i nervi nelle vicinanze.

Possiamo accorgerci e percepire l’insorgere della problematica quando riscontriamo difficoltà a svolgere alcune semplici azioni quotidiane come stringere la mano, svitare un barattolo, prendere una bottiglia o sollevare oggetti pesanti.

 

Quindi da dove nasce il disturbo da epicondilite?

Come tutte le patologie tendinee, l’infiammazione si genera per un sovraccarico che può essere causato dal “troppo” o dal “troppo poco”, ovvero: un eccessivo sforzo oppure un piccolo sforzo ma prolungato nel tempo.

Per i praticanti di alcuni sport, come il tennis, la causa del sovraccarico è abbastanza intuibile e scontata, mentre per una persona qualsiasi ci possono essere varie motivazioni.

1.   Mantenimento di posizione prolungate. Come abbiamo detto, non solo il troppo movimento genera un sovraccarico, anche il troppo poco. Mantenere una medesima posizione per tante ore può generare un’infiammazione. In questa casistica rientrano tutte quelle persone che svolgono lavori d’ufficio e ad esempio utilizzano per molto tempo il mouse. La posizione con la quale lo si impugna causa un accorciamento dei tendini degli estensori del polso.

2.   Rigidità dell’articolazione polso. Non è una causa diretta ma sicuramente aumenta il rischio di epicondilite. Una scarsa mobilità rende i movimenti meno naturali e obbliga i tendini a gestire un maggiore carico.

3.   Scarsa mobilità di spalle. Così come il polso, anche le spalle possono avere una grande influenza in quanto una loro rigidità altera la meccanica di movimento del braccio.

4.    Problematiche cervicali. Anche una rigidità cervicale può avere voce in capitolo su disturbi da epicondilite in quanto in grado di modificare la meccanica del braccio. Va però sottolineato che, in questo caso, possa essere più una concausa che l’unica fonte del problema.

5.    Eccessiva debolezza dei muscoli e dei legamenti. Al contrario della rigidità, se i muscoli e i legamenti non hanno sufficiente forza saranno più mobili della media e ciò renderà l’articolazione più vulnerabile.

 

COME CURARE L’EPICONDILITE

L’epicondilite è una delle problematiche tendinee più ostiche che, se non curata prontamente, potrebbe cronicizzarsi e richiedere poi settimane/mesi, in diversi casi anche anni, per la completa guarigione.

Come abbiamo già visto per altri problemi causati da infiammazione tendinea (vedi articolo sulla pubalgia) è sconsigliato mantenere completamente ferma l’articolazione dolorante. Anche nella fase più acuta, è meglio svolgere sempre dei piccoli movimenti a condizione che non creino dolore.

 

Detto ciò, il primo consiglio resta sempre quello di rivolgersi il prima possibile a uno specialista per confermare la diagnosi e indicare un percorso terapeutico mirato.

Nella fase acuta generalmente si prova un dolore intenso, si ha una grande limitazione nei movimenti e spesso si prova una sensazione di bruciore che si irradia lungo l’avambraccio. Può durare dai 15-25 giorni e per alleviare i sintomi si può ricorrere a impacchi di ghiaccio, all’utilizzo di un tutore di contenimento unito a terapie antalgiche e antinfiammatorie quali la tecar terapia, laser e gli ultrasuoni.

Passata la fase acuta si può procedere con un percorso riabilitativo specifico per la condizione del paziente. In questa fase hanno grande importanza ed efficacia i trattamenti manuali, le manipolazioni e una rieducazione dell’articolazione attraverso esercizi mirati volti a:

  • ridurre la forte rigidità accumulata
  • recuperare la completa articolarità in assenza di dolore
  • ripristinare l’elasticità e la forza muscolare
  • prevenire la ricomparsa dell’infiammazione

 

Se soffri quindi di un disturbo al gomito e temi possa trattarsi di epicondilite, vieni a trovarci in una delle nostre 5 sedi tra Torino e Provincia. Verrai valutato e seguito attentamente da uno dei nostri professionisti che ti proporrà il miglior percorso riabilitativo specifico per la tua situazione.

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Dolori mandibolari? La terapia manuale per curare e prevenire disturbi della ATM

Ti è mai capitato di provare dolore durante la masticazione oppure di sentire degli scatti sonori quando apri o chiudi la bocca? Ti sei per caso accorto di serrare forte i denti e di digrignare di notte? O magari, più semplicemente, soffri frequentemente di mal di testa, cervicalgia e dolori persistenti al collo? Questi sintomi, anche se all’apparenza diversi, possono essere riconducibili ad un’unica sorgente: l’articolazione temporomandibolare.

L’articolazione temporomandibolare (ATM) è una delle strutture anatomiche più complesse del nostro corpo. Collega la mandibola alle ossa temporali del cranio e consente una grandissima varietà di movimenti. E’ composta da muscoli masticatori (massetere, temporale, pterigoideo interno, pterigoideo esterno) e da diverse strutture legamentose, funzionali al collegamento con le prime vertebre cervicali. Proprio per questo stretto collegamento con la parte superiore della colonna vertebrale, l’ATM ha una fortissima influenza sul sistema posturale del nostro corpo.

 

SINTOMI E DISTURBI ALL’ARTICOLAZIONE TEMPOROMANDIBOLARE

Come accennato in precedenza, le problematiche all’ATM si manifestano attraverso diversi sintomi più o meno gravi e possono presentarsi in maniera estemporanea o svilupparsi e acutizzarsi progressivamente. 

Questi possono essere:

  •   dolore durante la masticazione
  •   click articolare in apertura e chiusura della bocca
  •   bruxismo (digrignare e serrare i denti)
  •   mal di testa frequente
  •   cervicalgia
  •   disturbo del riposo notturno
  •   vertigini
  •   perdita precoce dei denti

 

Qual è la loro origine, da cosa sono dovuti?

Le cause che stanno alla base dei disturbi all’ATM sono derivanti principalmente da tensioni muscolari e problemi anatomici dell’articolazione che possono generare, ad esempio, un’iper o ipo-mobilità della stessa. Tra queste rientrano anche le malocclusioni (di pertinenza odontoiatrica, ma indagabili dal fisioterapista): incastri scorretti delle arcate dentali superiori e inferiori sono causa di uno squilibrio articolare.

Infine giocano un ruolo fondamentale anche aspetti psicologici e di stress, i quali possono indurre più facilmente a disturbi quali il bruxismo (serrare o digrignare i denti) o alle cosiddette parafunzioni (come ad esempio mangiarsi le unghie).

 

COME TRATTARE E ALLEVIARE I DISTURBI ALL’ATM

Come sempre, il primo consiglio è quello di rivolgersi ad uno specialista che possa analizzare e valutare attentamente i sintomi e stabilire un percorso terapeutico mirato ed efficace.

L’obiettivo principale dei trattamenti manuali è quello di rilasciare la tensione articolare e rilassare i muscoli masticatori attraverso tecniche dirette sia esterne che interne alla bocca, proprio come mostrato nel video sottostante.

Non appena il dolore mandibolare sarà meno acuto, sarà possibile procedere con manovre ed esercizi volti al rafforzamento della muscolatura e alla prevenzione, da poter poi svolgere anche in autonomia.

 

Se hai bisogno di un consulto, ma non sai a chi rivolgerti, puoi affidarti alla professionalità del nostro personale qualificato presente nei 5 centri Fisiotop di Torino e provincia.

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Tormentato dalla pubalgia? Cause e rimedi per curarla efficacemente

Ti è mai capitato di provare un dolore persistente ma non ben identificato nell’area tra inguine, pube e basso ventre? Se si, allora potresti aver avuto a che fare con la pubalgia.

È una problematica ostica e fastidiosa, nello specifico si tratta di un’infiammazione dei tendini nella regione inguinale. Spesso si è rivelata un vero e proprio cruccio per gli sportivi (specie i calciatori) ma è largamente diffusa anche tra la gente comune e ne condiziona la quotidianità.

Il dolore infatti può emergere in semplici azioni come salire e scendere le scale oppure anche solo tossendo, e la guarigione spesso richiede tempi molto lunghi (settimane, se non mesi).

 

DA DOVE NASCE LA PUBALGIA?

Quando si parla di pubalgia si fa riferimento sostanzialmente ad una tendinopatia (o tendinite), ovvero un’infiammazione del punto in cui il muscolo si attacca all’osso. In questo caso specifico stiamo parlando degli adduttori, dello psoas e del retto dell’addome.

 

Da dove ha origine e come fa a colpire anche chi non pratica una costante attività fisica?

Si possono distinguere due potenziali cause: il sovraccarico diretto e il sovraccarico indiretto.

Il sovraccarico diretto colpisce più facilmente gli sportivi e avviene nel momento in cui i muscoli vengono sollecitati oltre la loro capacità di sostenere lo sforzo. Ciò può verificarsi a causa di allenamenti troppo intensi, allenamenti non ben organizzati o scarso recupero tra un esercizio e l’altro.

Il sovraccarico indiretto invece può riguardare chiunque e dipende da una serie di concause dovute alle varie funzioni che adduttori, psoas e retto dell’addome svolgono. Quest’ultimi due, ad esempio, sono fondamentali per l’equilibrio di bacino e della colonna vertebrale. Se la muscolatura non lavora correttamente, si può creare uno scompenso e quindi un sovraccarico anche senza svolgere una particolare attività sportiva.

 

COME CURARE EFFICACEMENTE LA PUBALGIA

Premessa: come accennato ad inizio articolo, la pubalgia è una problematica molto ostica che richiede settimane, a volte anche mesi, per guarire completamente. Il primo consiglio è quello di rivolgersi al proprio medico o ad un centro specialistico per stabilire un preciso ed efficace piano terapeutico e rieducativo. Fisiotop dispone di 5 sedi tra Torino e provincia, scopri quella più vicina a te (clicca qui).


Il decorso della pubalgia si può semplificare in due fasi:

 

PRIMA FASE

Nella prima il dolore è molto intenso e lo si percepisce anche nelle più semplici azioni quotidiane. E’ una fase acuta che dura in media tra le 2-3 settimane. Nonostante ciò ci sono dei piccoli accorgimenti che si possono applicare in autonomia per ridurre la durata di questa fase.

L’applicazione del ghiaccio è sempre una garanzia per problemi di natura infiammatoria. Fare degli impacchi, anche 2-3 volte al giorno, aiuta notevolmente a ridurre l’infiammazione. A molti potrebbe venir istintivo utilizzare anche alcune pomate: la loro efficacia è tutta da dimostrare, ma le controindicazioni sono molto basse. Nel caso è meglio affidarsi a pomate naturali come quelle a base di arnica.

Altri due aspetti fondamentali sono il riposo e l’allungamento. Trattandosi di un’infiammazione è importante non continuare a sollecitare e sforzare i muscoli in questione. Ciò non vuol dire restare completamente fermi; in generale i problemi tendinei non traggono troppi benefici dalla scarsa mobilizzazione. Vuol dire provare ad eseguire quotidianamente alcuni movimenti di scarico e di allungamento che si sente non generino dolore. Questi sicuramente possono aiutare ad accelerare il superamento della fase acuta.

 

SECONDA FASE

Non appena la fase acuta è alle spalle si può passare allo step successivo: intervenire in maniera specifica attraverso un percorso terapeutico e rieducativo. In questa fase è importante essere affiancati da uno specialista che possa proporre un piano personalizzato e funzionale alla vostra condizione. Fondamentalmente sono tre le aree in cui sarà necessario intervenire:

1.      Aumentare la vascolarizzazione delle strutture per ridurre i processi infiammatori e l’insorgere di problemi tendinei: la rieducazione degli adduttori attraverso esercizi a basso carico può risultare molto efficace.

2.      Rendere più mobili le strutture troppo rigide: il classico stretching (per adduttori e psoas) è sempre un buon alleato, da sempre è considerato parte integrante nella cura della pubalgia.

3.      Rinforzare le strutture troppo deboli: la muscolatura lombare è fondamentale per non generare sovraccarico sugli adduttori. Esercizi mirati per rinforzarla permetteranno di migliorare anche la stabilità del bacino.

CONCLUSIONI

L’avete capito anche voi, la pubalgia è una problematica da non sottovalutare. Bisogna armarsi di grande pazienza per poterla superare completamente, il processo di guarigione può durare anche mesi.

Il metodo suggerito nell’articolo è un approccio graduale che deve essere applicato con continuità. Per essere sicuro di realizzarlo, ma sopratutto per avere un programma terapeutico e di rieducazione personalizzato, è sempre meglio rivolgersi a centri specializzati che possono così valutare attentamente la tua situazione.

Puoi affidarti alla professionalità di una delle 5 sedi Fisiotop presenti a Torino e provincia.

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Dolore alla spalla notturno: perchè si verifica e come trattarlo

Vi è mai capitato durante la notte di non riuscire ad addormentarvi o di essere svegliati per un forte dolore alla spalla? Non è così inusuale, anzi. Il dolore alla spalla notturno è un sintomo piuttosto comune, nella maggior parte dei casi espressione di un’infiammazione.

La particolarità di questa problematica è che il dolore si presenta in maniera più importante e invalidante durante la notte quando andiamo a dormire, disturbando gravemente il riposo e costringendo spesso le persone a girarsi e rigirarsi nel letto per cercare la posizione meno dolorosa.

Al contrario di giorno, nonostante si muova maggiormente la spalla, il fastidio risulta essere pressoché nullo o circoscritto a movimenti specifici. Come mai allora di notte si genera un dolore così acuto? Da che cosa è causato? Andiamo a vedere nel dettaglio.

 

DA DOVE NASCE IL DOLORE ALLA SPALLA NOTTURNO

La spalla è l’articolazione più mobile di tutto il corpo. Proprio per questa sua caratteristica è maggiormente soggetta a sollecitazioni nelle sue diverse componenti anatomiche, in particolar modo sulle strutture tendinee.

Durante la giornata, posture fisse protratte nel tempo, magari anche scorrette, o attività particolarmente ripetitive generano delle tensioni che a lungo andare possono sovraccaricare le spalle e il tratto cervicale. Questo rappresenta terreno fertile per lo sviluppo di infiammazioni tendinee.

 

Ma perché il dolore si manifesta di notte? Le ragioni sono principalmente anatomiche.

Quando dormiamo il nostro corpo va in contro ad un rilassamento fisiologico che comporta una perdita della corretta posizione anatomica della spalla. Segue uno stiramento di alcuni tendini della cuffia dei rotatori che, se già infiammati, tenderanno ad irritarsi ulteriormente causando dolore.

 

 

 

A questo si aggiunge la posizione che assumiamo durante la notte. Che sia supina, prona oppure girata sul fianco, determina un restringimento dello spazio all’interno dell’articolazione della spalla e una compressione dei tendini. Nello specifico sono più frequentemente chiamati in causa il sovraspinato e il capo lungo del bicipite.

 

 

Invece, quando siamo in posizione eretta, tutta la muscolatura circoscritta alla spalla mantiene l’articolazione stabile e ne garantisce i regolari rapporti anatomici. Dunque, salvo movimenti su angoli particolarmente provocativi per l’area infiammata, non si percepisce praticamente dolore.

 

 

DOLORE ALLA SPALLA NOTTURNO: QUALI TERAPIE ADOTTARE

Ci sono diversi modi di approcciare a questa problematica ed eliminare il dolore notturno alla spalla.

Generalmente le persone tendono subito a ricorrere ad antinfiammatori o antidolorifici per dormire un po’ più serenamente, ma spesso si tratta di palliativi momentanei che non risolvono in maniera permanente la sintomatologia dolorosa. Anzi, se sottovalutata e protratta nel tempo rischia di aggravarsi sino a determinare gravi degenerazioni delle strutture coinvolte.

In caso di forti e frequenti dolori il primo consiglio è quello di ricorrere al consulto di uno specialista in modo che possa esaminare nel dettaglio la situazione e proporre un piano terapeutico mirato.

Da una prima valutazione fisioterapica sarà già possibile studiare e attuare, attraverso l’utilizzo di terapie strumentali, tecniche manuali e chinesiterapia (esercizi specifici) un percorso riabilitativo volto:

  • Alla risoluzione dell’infiammazione;
  • Al detensionamento e allungamento della muscolatura contratta;
  • Al ripristino della corretta dinamica di movimento della spalla;
  • Al rinforzo dei muscoli della cuffia dei rotatori, principali stabilizzatori della spalla.

 

Se soffri quindi di dolore alla spalla notturno non temporeggiare, potresti avere una seria infiammazione in corso. Chiedi una visita specialistica per individuare le cause e studiare il miglior percorso riabilitativo. Affidati ad una delle nostre 5 sedi Fisiotop.

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